venerdì 16 maggio 2008

Due Sicilie: passato, presente e futuro


Nicola Zitara è un grande intellettuale e storico della nostra patria siciliana. L'articolo che segue, che ho ritrovato su di un forum, è una perfetta analisi storica e culturale delle Due Sicilie. Detto articolo, che mi sono permesso di sfrondare e schematizzare un po' per renderlo più fruibile - non me ne voglia Zitara - ha , tra le altre cose, il pregio di mettere a fuoco qualcosa che intuivo, ma non riuscivo a mettere a fuoco (qui sta la differenza tra una persona comune come me ed un intelletuale come Zitara): il concetto di Continente Mediterraneo. L'ho fortemente sentito questo concetto di fronte al mare di Mazara, Selinunte, Marinella. Quel mare non doveva essere un ostacolo nè un confine, come oggi è, quanto piuttosto il centro, la piazza principale di questo continente, dei quali le Sicilie ne sono una importante quinta di sfondo. E le case di Marinella, abbarbicate al costone, sembravano tante persone che scrutavano l'orizzonte in attesa del ritorno di qualcuno o di qualcosa che gli (ci) era stato strappato con la forza.
Vi auguro una buona e proficua lettura.
Mustafa

COMINCIAMO!

di Nicola Zitara (da "Due Sicilie" n. 6 (nov/dic 2005)

La storiella delle Due Sicilie destinate a far da ponte tra l'Europa e l'Africa è dura a morire.
La realtà è che più che fare da ponte con l'Africa, le Due Sicilie rischiano di finire esse stesse in Africa. Quest’asserzione, per quanto vera, viene utilizzata dall'intera classe politica per incitare i siciliani a non essere insofferenti e ad avere pazienza.
Molti, nel constatare lo strano e persistente fenomeno del dualismo italiano, (un paese a due velocità) non riesce a darsi altra spiegazione che quella di un siciliano aggrappato a costumi antichi e selvaggi. Idee del genere sono alquanto diffuse. La proverbiale diffidenza verso di noi è persino cresciuta di tono. Ma poi, perché sorprendersene quando noi stessi siamo tanto severi con noi stessi? Spesso vorremmo essere milanesi, genovesi, torinesi. I giovani nati in Padania da genitori siciliani si affrettano a giustificarsi: "Sí, è vero, i miei genitori sono siciliani, ma io sono nato qui!"
Noi popoli delle Due Sicilie abbiamo introiettato la dipendenza. Ma questo fenomeno incontestabile non spiega la ragione del perché siciliani e padani si sentano nemici nel profondo.
Secondo i padani e la “versione ufficiale” (e con i siciliani a dargli spesso ragione) l'italiano 'vero' sarebbe il tosco-padano. Gli altri riescono si e no ad esserne una mal riuscita imitazione. Centocinquant’anni di vita unitaria non sono bastati a superare i presunti 'ritardi storici' che le Due Sicilie portavano con sé e che i 'perfidi' Borbone, 'nemici di ogni progresso', non vollero affrontare. Siamo gente perduta, non redimibile.
Chi si limita a giudicare il presente, di regola addebita la colpa dei «mali del Sud» alla rapacità dei gruppi dirigenti e degli uomini di governo. Tuttavia una più matura riflessione porta a non separare il presente dal passato.
Partiamo da una constatazione. È noto che le Due Sicilie ebbero momenti di grande splendore durante i quali registrarono autentici primati civili e culturali. I principali di questi momenti furono la Magna Grecia, il Medio Evo e l’epoca dei Borbone. Il primo è universalmente riconosciuto e non disturba i sonni di nessuno; sugli altri si mette invece la sordina. Essi sono noti agli addetti ai lavori, ma vengono taciuti o sminuiti verso l'opinione pubblica.

1) L’età antica e la Magna Grecia
Di Magna Grecia ci riempiamo la bocca, ma quando si va a cercare quello che fu e come finí, la visione si annebbia. Siamo intorno al 300 a.c. Atene e le altre città greche vanno decadendo. C'è una sola strada per rinascere, quella d'incettare nuove risorse. La civiltà ellenica si espande allora in tutto il Mediterraneo. Dovunque, lungo le sue sponde, fiorisce una cultura fine e moderna, non più nazionale o nazionalista, l'ellenismo. Il Continente Mediterraneo non ha frontiere. Le capitali della vasta comunità sono Alessandria (d'Egitto) e Siracusa.
Domanda: Chi distrusse quella grande civiltà che aveva portato i territori del Sud Italia a un livello di civiltà più avanzato dell'attuale? Dispiacerà sentirlo, ma la risposta è: Roma! Ma perché tanta barbarie? Perché ammazzare Archimede, il fondatore delle scienze fisiche, un uomo di cui Copernico, Newton ed Einstein sono solo i continuatori?
Il motivo è che solo al Sud Roma avrebbe trovato le risorse necessarie per difendersi dai barbari padani. In verità Roma non distrusse soltanto Cartagine, come si legge comunemente nei libri di scuola, ma anche la civiltà e soprattutto la libertà del mondo italico, e utilizzò il primo disastro storico del Sud per finanziare la romanizzazione della Valle Padana, per edificare una cinta muraria intorno a Piacenza e per recingere un castrum che in appresso si chiamerà Mediolanum.
Roma inaugura una bilancia politica e culturale valida ancor oggi: i costi da affrontare per innalzare il Centro-nord, vanno scaricati sul Sud. È tutt'altro che vero che Roma abbia unificato la penisola. Amor di patria (italiana) pretende che nozioni dei genere siano nascoste alle menti dei giovani. Inquinerebbero l'albero genealogico dell'elmo di Scipio!

2) Il Medio Evo ed il Regno di Sicilia
La morte in battaglia di Manfredi parla chiaro circa la concezione politica, che ispira da sempre gli altri 'italiani'. Nell'occasione di questa seconda aggressione, Roma non è sola. Le stanno attorno i Comuni tosco-padani (i guelfi) ingordi di prede siciliane.
Sopraffatto dai barbari nel quinto secolo dell'era volgare l'Impero Romano d'Occidente crolla. Qualche decennio dopo arriva in Italia l'esercito inviato da Giustiniano, l'imperatore romano d'Oriente. Nel tentativo di non perdere definitivamente l'Italia in mano ai barbari europei e agli arabi, i bizantini rimangono in Italia seicento anni, dal Quinto all'Undicesimo secolo d.C. Sono i secoli bui. Dei tempi in cui l'Italia viveva riccamente, in virtù dei tributi che Roma estorceva in tutto l'impero, è rimasto poco o niente. Persino il ricordo del passato si è offuscato. Soltanto i colti ne sanno qualcosa: notizie di seconda mano, mediate dagli storici greci e arabi. L'Italia è impoverita, imbarbarita. L'agricoltura, la manifattura, le città sono tornate duemila anni indietro. L'ignoranza dilaga.
ln questo panorama desolato, soltanto al Sud si conserva, per effetto del legame con l'Oriente, qualcosa del vecchio ordine - per esempio gli scambi di mercato, la produzione artigianale, gli elementi imbalsamati dell'antico sapere. Ancor più fortunata la Sicilia, che vede restaurata l'antica civiltà ad opera degli arabi. Se pu in decadenza, il Sud non cade nella barbarie dominante al di là del Garigliano. Lo testimoniano cento cose. Ne elenchiamo qualcuna.
A fondare e ad operare nei primi centri di livello universitario che il Papato avvia - Grottaferrata e Montecassino - sono dei monaci arrivati dal Sud Italia. La centralità del Sud nell'esportazione di manufatti, che venivano richiesti da re, imperatori, baroni e vescovi barbarici, è largamente attestata. Accanto alla splendida Palermo e alla altre città siciliane, fioriscono Napoli, Amalfi, Bari, Mola, Rossano. Sui territori in mano ai bizantini, i centri marinari godono di una considerevole autonomia privata, e qualche volta politica. I marmi che i papi romani importano per edificare nuove cattedrali vengono trasportati da navi amalfitane. La flotta di Amalfi si schiera in battaglia nelle acque di Ostia, a difesa del papa, e batte i saraceni. L'architettura e la scultura decorativa dell'età classica trovano alimento nella ricchezza dei commerci. Chi ha qualche dubbio su questi primati può facilmente toglierselo leggendo qualche pagina del fiorentino Giovanni Boccaccio e, se non sa leggere, facendosi un giro turistico per la Terra di Bari e il Salento, per fortuna risparmiati dai terremoti che, altrove, hanno distrutto quasi tutto.
Come e perché si esaurì questo corso, se non propriamente grandioso, quantomeno promettente?Anche in questo caso fu la stessa Italia a concepire e a condurre l'operazione d'annientamento. La vicenda è connessa con le Crociate. Il Sud del tempo è una società aperta, la gente non fa questione di pelle, è tollerante in materia religiosa, i cattolici seguono il rito ortodosso, la messa viene celebrata in greco, l'imperatore d'Oriente ha il diritto di mettere una mano nella nomina dei vescovi, i monaci basiliani si sono insediati nei centri jonici e in Sicilia, in molti luoghi si parla greco e non si raccolgono oboli da mandare a Roma. Gli stessi arabi al Sud non sono accolti male, anche perché le loro scorrerie non sono peggio dei saccheggi dovuti ai barbari insediatisi in Italia. Ultima ciliegina: il papa, integratosi nella logica dei regni europei, non gradisce le interferenze dell'imperatore romano d'Oriente. I papi e i re d'Europa pensano che a migliore difesa dell'Europa e del Papato sia necessario spezzare il Continente Mediterraneo, (qui si fa nascere il conflitto di civiltà!!). E siccome il Sud ne è la punta avanzata, bisogna che esso diventi una colonia d'Europa!
Il compito viene affidato ai normanni. Questi, una volta padroni di questa terra mostrano una forte perplessità ad imbarbarirla. Essi allora non solo non la conducono in rovina, ma se ne fanno ammaliare arricchendola vieppiù. Poi, a mettere in serio pericolo il disegno di partenza vi è l’esaurimento della dinastia regnante che porta sul trono di Sicilia Federico II, erede anche del trono imperiale. Il nuovo re, obbedendo alle istanze provenienti dalla progredita collettività siciliana, progetta, per primo al mondo, uno Stato modello: laico, robusto nelle istituzioni e aperto al progresso. Ma è proprio quanto non vogliono la Chiesa e i tosco-padani. Federico viene fortemente contrastato. Non vince e non perde, anche perché muore ancora giovane. La Chiesa dichiara la Crociata contro il Regno di Sicilia (unico caso di Crociata contro un paese cristiano, ma amico dell’Islam!). Suo figlio Manfredi perisce eroicamente in battaglia. Gli altri successori di Federico cadono per mano francese-angioina. Per il concerto delle nazioni barbariche (una sorta di “comunità internazionale ante litteram!) e per i “liberi” comuni padani il Regno di Sicilia sale alla dignità di colonia d'Europa!
A poco vale l’eroica rivolta del Vespro Siciliano, se non a rendere indigesto il boccone. Nei cinque secoli compresi tra il tempo in cui Dante era un giovanetto (1280) e quello in cui si spegne Giambattista Vico (1744), il Sud percorre un cammino a ritroso, taglieggiato com'è dai baroni francesi e spagnoli, e impoverito dalle usure genovesi e fiorentine.

3) I Borbone ed il Regno delle Due Sicilie
Il ritorno all'indipendenza nazionale, nel 1734, è il risultato del 'illuminismo napoletano' di cui la dinastia borbonica si propone come garante e guida operativa. I Borbone si propongono di riportare il paese alla modernità commerciale e industriale e di difenderlo dalla politica di rapina di Inghilterra e Francia, nascosta come al solito dietro lo sventolare di bandiere liberali e ugualitarie.
Naturale quindi che l'indipendenza delle Due Sicile sotto l’ombra protettiva dei Borbone sia mal digerita da Francia e Inghilterra. Una tacita congiura tra eroici “patrioti”, scaltri politicanti e incalliti diplomatici, stronca l'intelligente e generoso tentativo di modernizzazione. Le Due Sicilie cessano d’esser tali e diventano “il Sud”. Riprecipitano nelle grinfie della politica europea, impostata sulla crescita attraverso la colonizzazione, e diventano nuovamente un territorio di pascolo aperto alle usure tosco-padane.

Le fatiche di poeti e studiosi e l’opera della Chiesa romana hanno fatto si che gli italiani elaborassero una lingua (quasi) comune e sedimentassero una tradizione consimile.
Ma non unitaria. Le due parti del paese sono state assieme politicamente soltanto per qualche secolo, dal regno di Tito a quello di Costantino. Sin dal tempo della prima colonizzazione greca esistono due formazioni sociali, due Italie, una che viene dal mare e una nata dalla terra. Roma, alle origini città etrusca o largamente etrusca, si è estesa verso nord, fin oltre le Alpi, ed è ancora la postazione più meridionale del “continente Europa”.
A sud di Roma, la società si apre quando arriva un contatto dal mare, e si gela quando il contatto arriva da nord. Quest’alterità, questo scontro di faglia tra il “Continente Europa” e il “Continente Mediterraneo” si manifesta lungo il confine delle Due Sicilie. Basta guardare una cartina geografica, per rendersene conto. Tra il reticolo metropolitano che si affaccia sul Golfo di Napoli e quello della Bassa Padana, c’è tutta una zona a bassa intensità abitativa che oggi trova eccezione in Roma Capitale, ma che fino a non molto tempo fa era uniforme (prima dell’Unità Roma era poco più di un paesello). Quindi due formazioni sociali scarsamente comunicanti fra loro, e solo debolmente integrate sul terreno politico e sociale ad opera della Chiesa romana.
Il nostro Sud dunque non è mai stato Europa, ma una colonia d'Europa. Il generoso tentativo di Federico II di fare dello Stato un'opera d'arte si è esaurita con l'inconsistenza di un sogno. Il progetto dei Borbone di allentare la morsa della colonizzazione europea, si è spenta con il tradimento della classe baronale e sotto l'onda del loro finto liberalismo.

Ed eccoci all’oggi in cui non c'è un solo aspetto della vita sociale che non sia impantanato. La disoccupazione imperversa sin dal giorno in cui i bersaglieri instaurarono l'ordine padanista nelle Fonderie di Mongiana e nello stabilimento di Pietrarsa. Da quel lontano anno il Sud italiano ha ininterrottamente prodotto milioni di disoccupati e interminabili eserciti di emigranti. Ma anche questo sogno “esogeno” oggi è off limits, così come è inconcepibile mettere in atto l'altro corno dello storico dilemma 'o emigranti o briganti'. Il sistema politico italiano prevede che l’autonomismo, o federalismo che dir si voglia, e i relativi eventuali moti popolari possano avere dignità politica solo se ispirati e diretti dai partiti padanisti.
Quanto ai politici del Sud, non c'è da fare assegnamento. Il sistema italiano non lascia loro altro spazio che l'uso inverecondo del pubblico danaro. Le cose stanno anche peggio fra la gente comune. Quanto alle aziende private meridionali, esse hanno la teorica libertà di sopravvivere, ma soltanto negli spazi lasciati vuoti dal capitalismo tosco-padano.
L'abbassamento della curva dei salari e la confisca di stipendi e pensioni, collegata alla circolazione dell'euro, completano il disastro.
È immaginabile che tutti questi fattori negativi possano far scoppiare qualche disordine, ma in mancanza di un progetto politico alternativo, tutto quel che il Sud otterrà sarà qualche lacrima di cordoglio in un editoriale del 'Corriere della Sera' e un titolo a tutta pagina su 'Il Manifesto'.
Nessuno può dire quel che accadrà domani. Continuando a scambiare l'effetto per la causa, la mafiosità potrebbe dilagare come l'unica, possibile fonte di sopravvivenza.
Danni ancora peggiori fa l'idea che il Sud debba modellarsi di più e meglio sull'ltalia restante. Il coordinamento romano continua a proclamare, come modello da seguire, quello tosco-padano, ben sapendo che esso non si attaglia alla natura dei popoli della Napolitania (la storica Ausonia) e della Sicilia. Un disastro che dura da 150 anni lo dimostra a sufficienza. Le Due Sicilie sono un paese grande, con una sua storia antica. Come l'India e come la Cina, che avvizzirono sotto la dominazione o l'influenza inglese, e una volta libere sono rifiorite cosi le Due Sicilie, portate al disastro dal governo unitario, riacquisterebbero voce e anima, solo se e quando torneranno libere e indipendenti, o quanto meno autonome.
L'idea che viviamo una condizione coloniale è chiara nella mente di tutti, ma non si sa come uscirne. Ora, dacché mondo è mondo, dal colonialismo non si esce mai per iniziativa del colonizzatore - nel nostro caso di Roma e consorti tosco-padani - ma in seguito a un processo di liberazione e decolonizzazione.
Avverrà sì o no? Come avverrà? Quando avverrà? Nessuno può dirlo. La risposta è nelle mani di Dio. Noi possiamo fare soltanto il nostro dovere di patrioti, di figli di questa terra, di uomini e donne di questo popolo, di padri e madri di altri napolitani, di altri siciliani, a cui potrebbe toccare in sorte la stessa impotenza e le stesse umiliazioni che noi abbiamo patito e patiamo. Il debito di amor patrio, che abbiamo verso di noi e con il mondo, non lo assolveremo da barbari e ingordi di saccheggi liberisti e consumisti, ma da esseri pensanti. Lo faremo con la giusta umiltà dell'inerme, ma anche con l'orgoglio di sentirci pronipoti di Archimede, di Manfredi, di Antonio Genovesi, di Ferdinando II, di Carmine Crocco.

Il nostro primo dovere sta nell'immaginare un'alternativa al presente che sia coerente con i veri bisogni della nazione siciliana. Il primo dei quali è sicuramente un lavoro. Il quadro economico a cui dobbiamo fare riferimento è quello al quale la politica delle potenze europee ci ha strappato: il Mediterraneo.
Il Mediterraneo sta tornando ad essere un crocevia di commercio con l'Africa e con l'Asia. Se resteremo nel quadro nazionale italiano, questa sarà per noi un'occasione perduta. E non perché l'ltalia vorrà tenersi fuori da questa rinascita mediterranea, ma perché i centri nevralgici dei movimento saranno dirottati dalle forze politiche verso Livorno, Genova, Trieste, Venezia. Basti l’esempio di come Ancona sia riuscita a divenire in pochi anni capolinea dei collegamenti con la Grecia, a discapito del naturale e tradizionale approdo di Brindisi.
La Napolitania e la Sicilia hanno gli uomini capaci e le risorse economiche necessarie per portarsi ai livelli più moderni in tutti i settori della produzione. Il fattore che manca è la libertà statuale. Per questo motivo, è supremamente importante la capacità politica e la serietà dei futuro governo siciliano.
Il paese, il nostro paese, le Due Sicile, ha bisogno di un punto fermo. Legge e ordine: e non nel senso reazionario, ma in quello della consapevolezza dei doveri personali verso la collettività. In particolare i giovani vanno riportati al senso dell'onore, dei rispetto di sé e degli altri, all'amore per il lavoro e per il sapere, al senso critico.
Dove c'è lavoro, prosperità e sapere, crescono spontaneamente la cultura e l'arte.
Oggi c'è solo dolore e vergogna. Cominciamo! Non sarà facile, ma non c'è altra scelta. Che lo spirito dei nostri maestri ed eroi poggi una mano benevola sul futuro di questa nostra sventurata nazione.