venerdì 26 dicembre 2008

Dov'è finito il nostro sangue?



Dov’è finito il nostro sangue?

“Il popolo non ha lavoro, pane, speranza. Nella città di Napoli si assiste giornalmente ad uno spettacolo desolante. Vi giungono carovane di contadini delle Calabrie, della Basilicata, del Cilento che vengono ad imbarcarsi per emigrare. Sono pallidi, disfatti, con l’aspetto della miseria più crudele. Già moltissimi operai, cacciati dagli arsenali e dai cantieri, sono partiti per l’Egitto ove sperano di procurarsi un lavoro e del pane lavorando per la Compagnia dell’istmo di Suez. Dalla Sicilia l’emigrazione per Tunisi, Tripoli e Algeri è all’ordine del giorno. Un gran numero degli abitanti delle province continentali cerca, nel porto di Genova, l’occasione per imbarcarsi verso l’America meridionale. Alcuni, crudelmente delusi, giocoforza si arruolano. Gli abitanti dell’isola di Ustica, in Sicilia, del resto già piuttosto spopolata, stanno per emigrare quasi tutti a Buenos Ayres. Com’è possibile, dunque, che gli abitanti delle Due Sicilie, i meno inclini a lasciare la propria terra, siano ora presi da questo furore dell’emigrazione? Le imposte esose, la mancanza di commerci e di lavoro, il dispotismo del governo, la legge Pica, la legge Crispi ne sono senz’altro le cause”. (P.Calà Ulloa, Lettres d’un Ministre emigrè, Lettera XLIII del novembre 1866, tratta da “I lager dei savoia", di Fulvio Izzo, Ed. Controcorrente).
Nel mio recentissimo Pellegrinaggio alla Mecca, grazie a Dio felicemente portato a termine, ho avuto la ventura di incontrare il giovane ritratto con me nella foto, inglese di origine irakena, che era nel mio stesso gruppo di pellegrini partiti da Londra. Egli, sentendomi dire che ero “siciliano”, mi ha confidato d’essere anch’egli di origine siciliana da parte di madre. Infatti mi ha raccontato di un suo bis-bis-bis nonno materno che, più o meno ai tempi descritti dalla lettera di Calà Ulloa, aveva lasciato la Sicilia verso i paesi arabi. La sua discendenza era poi passata in Turchia e di qui, seguendo i destini delle varie generazioni, in Iraq, per poi finire, attraverso le sofferenze di questo popolo, tanto simile a quelle dei nostri avi duosiciliani, in Inghilterra. Grande è stato l’affetto che si è creato fra noi, l'affetto dovuto al fatto d'avere lo stesso sangue (duosiciliano) e la stessa fede (l'Islam). Sicuramente Dio avrà voluto darci un segno facendoci compiere insieme il pellegrinaggio alla sua Santa Casa.

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