domenica 28 settembre 2008

I luoghi dell'Islam - Capo Colonna a Crotone



Sibari

Sibari non c’è, ma tutti vi fanno riferimento, come se fosse la città capoluogo. E, se Dio vuole, fra non molto lo sarà davvero. La mitica città del lusso e del dolce vivere, conquistata e distrutta dai rudi crotonesi, è destinata a rivivere, a far di nuovo coppia con Taranto ai due vertici del Golfo Jonico.
Di essa ci sono i capisaldi: la stazione ferroviaria, il piccolo centro abitato, l’Hotel Mediterraneo, la Marina, il porto mercantile, l’area archeologica, il casello autostradale, l’infrastruttura stradale ecc. Spetta ora a dei bravi architetti ed amministratori organizzarne il tessuto urbano del futuro.

La posizione di S. Demetrio Corone è troppo bella. “Lo sguardo, superando foreste e paesi e fiumi e lunghe strisce di terra coltivata, abbraccia le cime nevose del Dolcedorme e il Mar Jonio. Ma non è tanto la varietà della scena, né la memoria dell’antica Sibari, che accende l’immaginazione, quanto la sua vasta immensità. Pensate, una grandiosa valle in cui l’atmosfera è di così perfetta limpidezza che vi sono istanti in cui sembra di scorgere ogni pietra e ogni cespuglio sulle montagne, a trenta miglia di distanza. E i colori delle nuvole, al tramonto, sono tali da ispirare il pennello di Turner o di Claude Lorraine…” (Norman Douglas, Vecchia Calabria, Giunti, 1992)
San Demetrio è la capitale degli Albanesi. Quale sorpresa dunque, quando passeggiando per il suo corso, di sera, ci sentiamo all’improvviso salutare con un perfetto e gioioso “Assalamu ‘aleykum”. Era un fratello siriano che ci raccontò d’essere sposato con una albanese di San Demetrio e che ambedue risiedevano in Padania. Le vie di Allah sono infinite: gli albanesi fuggiti dall’Albania invasa dai turchi e riparati nelle Due Sicilie, oggi si ritrovano emigrati in Padania e mogli di musulmani.

A Villapiana Lido l’ambulante chiede alle nostre donne perché indossano l’hejab. Non s’era accorto d’avere la risposta sulla sua bancarella: vendeva quadri di Madonne!!

Crotone

Quando da Milano, Bologna o Rimini noi foggiani prendiamo il treno per tornare nella nostra amata / odiata Foggia, spesso prendiamo il treno per Crotone. Molti di noi forse non sanno nemmeno dove sia Crotone, fatto gravissimo per quell’ipotetica quanto auspicata coscienza nazionale duosiciliana. Molti altri sapranno che è in Calabria, ma non ci sono mai stati. Fino a poco tempo fa era il caso mio. Spesso ho vagheggiato di Crotone, città mitica (i forti crotoniati che radevano al suolo la molle Sibari!!), ma mai avevo avuto modo di visitarla. Quest’anno, un matrimonio, quello tra il fratello Mahdi, calabrese doc e la sorella Muna, figlia dell’Iran, c’ha dato modo di vedere la Calabria e la stessa Crotone, in particolare il suo famoso Capo Colonna. Ci arrivammo all’ora di pranzo, quando il sole d’agosto era allo zenith e, come suol dirsi, spaccava le pietre, per non dire altro.
Il baretto della zona archeologica, di fronte alla chiesetta e alla torre d’avvistamento, e soprattutto la sua ombra ci ammaliò e ci fece sedere volentieri a bere una bibita fresca; ma io dentro di me scalpitavo: la colonna, la colonna mi chiamava…
La deserta campagna di Capo Colonna, uno dei lembi più deserti della nostra patria duosiciliana, sia in senso vegetativo che abitativo, un pezzo d’Africa in Europa, è inondata di luce. La luce, una delle caratteristiche fondamentali del deserto, qui, nell’ora dei fantasmi meridiani, nel bestiale sole d’agosto, provoca un’aridità allucinante, carica d’abbagli. “L’irruenza di una luce che sottrae ogni cosa a se stessa” diceva Ungaretti in “Giornata di fantasmi”.
E i fantasmi ci sono davvero. Mentre gli altri continuano a godersi l’ombra della veranda del bar, la mia inquietitudine mi porta ad entrare nella chiesetta:
Nella penombra di quell’atmosfera silente e segreta, scorgo un dipinto che mi riporta indietro nei secoli. Ecco il tempio di Hera Lacinia ancora in piedi, prima che un vescovo lo facesse demolire scientemente, ed in quel fabbricato a volta a botte che affianca oggi la chiesetta, eccovi accampati dei “Saraceni”, arabi o turchi non si sa, e la Madonna che appare, …ma questo è un altro discorso. Il tempio e i Saraceni sembrano materializzarsi, pur dormienti, in quell’ora meridiana.
Fuori della chiesetta, nel dipinto come nella realtà, di fronte al mare turchino, mentre tutta Crotone, distesa ai piedi di aride colline, immersa nel silenzio, sembra sprofondata nel sonno, ecco che tutto si smaterializza.
“Il calore si rovescia in torrenti benigni sopra a questa desolazione; neppure un’ombra di vapore appanna l’orizzonte; non una vela, non un’increspatura interrompe la linea del mare. Si può ascoltare il silenzio. Il sopore avvolge ogni essere della terra: dormono le cime delle colline, e le valli, i promontori, gli affossamenti, e tutte le creature che muovono sopra la nera terra… Un tale torrido splendore, quando imbeve una terra della più austera semplicità, riconduce lo spirito a stati di primitiva soddisfazione e di altrettanto primitiva ricettività. Si delinea nella nostra fantasia una nuova visione delle cose umane, un suggestivo senso di benessere, in cui non trovano posto le sciocche difficoltà e i contrasti del nostro tempo. Liberarsi da questi legami, ritrovare l’affinità con un elementare e vigoroso archetipo, amante della terra e del sole… Come sono felici questi attimi di aureo equilibrio! Si, è un bene lasciarsi sommergere da questa atmosfera aspra e vibrante, nel fulgore meridiano delle cose. E’ questo il mezzogiorno definito dai greci l’ora “pesante”, quando i templi non sono calpestati da sacerdoti né da fedeli: Adesso la chiamano Controra. Uomini e bestie sono incatenati dal sonno, mentre gli spiriti si aggirano intorno. Il demone del mezzogiorno, l’Abitatore dei calmi spazi azzurri… E il genio che indugia su questo antico Capo della Colonna è ingenuo e benigno”. (Norman Douglas, op.cit., pagg 483/484)
“Il sole cade a piombo, tutto è sospeso e turbato, ogni moto è coperto, ogni rumore soffocato. Non è ora d’ombra né ora di luce, E’ l’ora della monotonia estrema, è l’ora feroce”. (Ungaretti, La risata del Jinn Rull)
La Realtà Unica si ritrova testimoniata in quel sole che destruttura il tempo e scatena e accomuna tutte le cose. La sua sovrapposizione su tutte le cose comporta la loro identificazione con l’Unico. E’ il sole estremo, il silenzio apocalittico, la fine di tutto.
E’ in mezzo a questo nulla, in questo istante perfetto, appare lei, la colonna. La sua figura è armoniosa, perfetta, e riflette l’anelito divino o addirittura la Divinità stessa.
Gli altri che, abbagliati dal sole, son voluti restare all’ombra del pergolato del bar, si sono persi quest’attimo perfetto che noi abbiamo intuito ed abbiamo fortissimamente voluto assaporare e vivere. Chi ha visto il film “Picnic ad Hanging Rock” ci capirà. Chi è rimasto al bar ha fatto come le collegiali rimaste ai piedi della roccia per fare picnic. Chi ha raggiunto la colonna sotto quel sole abbacinante ha fatto come quelle ragazze che salirono in vetta alla roccia e come noi ne rimasero abbagliate.
La colonna ha una sobrietà, una semplicità, una perfezione di forme che a tutti noi (eravamo in tre, Mahdi, Wassim ed io) ha suscitato le medesime sensazioni. Cosa c’è di islamico in questa colonna? Resto di un tempio costruito dai greci pagani, riutilizzato e poi distrutto dai cristiani? Tutti e tre abbiamo risposto che sono la sua perfezione, la sua unicità, la sua solitudine, nonché il deserto circostante a donargli la capacità di simboleggiare il Dio Unico e a far si che anche questo luogo possa essere indicato come uno dei “luoghi dell’Islam” che andiamo cercando attraverso le terre di Napolitania e Sicilia e che abbiamo già trovato a Segesta, a Selinunte, nella fortezza di Lucera, a Villa Rufolo di Ravello, sulle rocce di Pietrapertosa, a Santa Maria di Siponto, al Foro Italico di Palermo, in piazza del Carmine a Napoli, a Borgo Croci di Foggia e che, con l’aiuto di Dio, cercheremo e troveremo ancora in altri luoghi delle nostre amate Due Sicilie.

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