sabato 4 luglio 2009

Alì e l'elefante


Alì era un catanese, un catanese del 1200. Suo padre Fathi gli aveva lasciato due eredità molto ingombranti: la prima era quel nome, Alì, che immediatamente lo individuava come siciliano di origine araba e di religione musulmana. Ciò gli comportava molti problemi con i suoi concittadini, ma Alì sopportava tutto con pazienza anche perchè egli era orgoglioso di essere catanese almeno quanto di essere di origine araba e musulmano. La seconda “ingombrante eredità” lasciatagli da suo padre era stata niente di meno che un elefante. Il pachiderma, arrivato in Sicilia dall’Africa come “trattore” per dissodare il campicello di famiglia, era sopravissuto a Fathi ed era pervenuto in eredità ad Alì alla morte del padre.
Quando Federico II represse le ultime scintille della rivolta musulmana a Entella e Gaito ed esiliò tutti i musulmani di Sicilia a Lucera di Capitanata, Alì dovette lasciare la sua casa nella campagna catanese e, seguendo le sorti dei suoi correligionari, trovò rifugio e nuova vita all’ombra del palazzo imperiale lucerino, entrando a far parte della guarnigione militare saracena insieme all’elefante, cui era stato dato il nome di “Alfio”, storpiatura dell’arabo “Al-fil”, che vuol dire semplicemente “l’elefante”.
Quando nel 1237 Federico II organizzò una spedizione in Padania per ridurre all’obbedienza i comuni leghisti ribelli, ad Alì venne ordinato di unirsi alla spedizione e di condurre con sè Alfio, l’elefante, con il compito di guidarlo attraverso le fila nemiche per gettarvi scompiglio e terrore. E così Alì partì, insieme ad altri 10.000 saraceni, a rinforzare l’esercito imperiale, a ulteriore riprova di come i musulmani duosiciliani siano sempre stati in prima fila ogni qualvolta s'è trattato di versare il proprio sangue per la nostra patria.
E dopo alterne vicende arrivò il giorno di Cortenuova. Presso questa località padana l’esercito imperiale affrontò quello della Lega, in tutto si scontrarono 35.000 soldati. L'esercito imperiale, fingendo di ritirarsi per l’inverno verso l'alleata Cremona, si portò invece sul più favorevole territorio di Cortenuova organizzando un’imboscata alla coalizione milanese-bresciana, indotta dalla finta mossa federiciana, a ritirarsi dal campo di battaglia.
I saraceni e i bergamaschi attaccarono l’esercito leghista a diverse ondate inducendolo ad affrettare la ritirata. Al calare della notte, Federico ordinò ai suoi uomini di dormire con l'armatura addosso, poiché l’indomani, alle prime luci dell'alba, avrebbero dovuto sferrare l’attacco decisivo. Infatti, il Podestà di Milano aveva deciso di ritirarsi sfruttando il buio della notte. Ma il terreno, reso molle e fangoso dalle piogge di novembre, rallentava molto la ritirata e così fu ordinato di abbandonare il Carroccio a Cortenuova insieme a tutti i bagagli ingombranti e pesanti. A malincuore i soldati avevano obbedito abbandonando il Carroccio, proprio emblema di guerra, spogliato però di ogni stendardo e vessillo.
All'alba del 27 novembre Federico ordinò alla cavalleria di lanciarsi all'inseguimento dell'esercito leghista in rotta. Il vero massacro e il conseguente annientamento dell'esercito della Lega si perpetrò proprio in quel momento. I bergamaschi massacrarono selvaggiamente milanesi e bresciani che cercavano di lasciare frettolosamente il campo di battaglia senza più nemmeno combattere. Chi riusciva a scappare dalla violenza degli orobici, si gettava nel fiume Oglio in piena, dove annegava senza scampo. Alla fine del massacro, si contarono circa 10.000 morti per l'esercito della Lega Lombarda, e moltissimi prigionieri. Tra di essi anche 300 nobili di Milano, Alessandria, Torino e Vercelli, lo stesso podestà di Milano, nonché Pietro Tiepolo, figlio del doge di Venezia. Federico II, dopo la schiacciante vittoria, fece un ingresso trionfale nella città alleata di Cremona, portando come trofeo il Carroccio, trainato da un elefante, il nostro Alfio, che recava lo stendardo imperiale. Sul Carroccio era legato il Podestà di Milano con un cappio al collo. Il suo destino era ormai segnato; oltre alla pesante umiliazione subita, Federico II lo rinchiuse in diverse prigioni della Puglia, ed alla fine, decise di metterlo al patibolo. Il Carroccio venne inviato con una missiva al Pontefice a Roma.A guerra terminata. Alì, per i servigi resi, ottenne, in deroga al decreto di esilio, di poter tornare nella nativa Catania con un buon vitalizio e con l’obbligo di prendersi cura di Alfio l’elefante vita natural durante, cosa che Alì fece molto volentieri in quanto Alfio era per lui più di un parente stretto. Alì si stabili in una casetta sul mare presso il castello Ursino e tutti i giorni portava Alfio a passeggio sulla spiaggia. Ben presto l’elefante divenne l’amico di tutti i catanesi, in particolare dei ragazzetti che approfittavano della mansuetudine dell’animale per saltargli in groppa e giocare con la sua proboscide. La gente portava da mangiare al suo beniamino ed al suo padrone e tutti erano felici di condividere un po’ della loro vita e della loro giornata con Alfio, dilettandosi a farsi raccontare da ‘Alì la giornata di Cortenuova, quando Alfio aveva umiliato la Lega! Ed Alì non si sottraeva al racconto, che aveva ormai imparato a memoria attrezzandosi addirittura con cartelloni dipinti a vivaci colori che riportavano le scene salienti di quella esaltante giornata. Ma il tempo passa per tutti, ed un bel giorno Alfio venne trovato morto nella sua stalla sulla spiaggia. Aveva vissuto quasi 120 anni ed era ormai stanco della vita. Fu seppellito con tutti gli onori in una tomba che rimase sulla spiaggia per tanto tempo, fino a quando nel 1600 la lava dell’Etna la coprì per sempre. Ma alcuni di quei ragazzi, ormai uomini, che avevano giocato e fraternizzato con Alfio vollero che fosse ricordato per sempre. Si ricordarono che nei sotterranei dell’anfiteatro romano c’era la statua di un elefante che risaliva - si diceva - agli antichi Romani. La statua fu recuperata, ripulita, sistemata e fu quindi collocata nella piazza principale della città, davanti al duomo di Sant’Agata. Con quel monumento la città non si sarebbe più dimenticata di Alfio che diventò da allora il simbolo stesso di Catania, simbolo di forza, di onore e ... di vittoria sulla Lega, nonchè augurio di un pronto riscatto per le nostre Due Sicilie!